Racconti di "fantastica" formazione: intervista a Marino Neri

Capita a volte di essere conquistati da un libro ancora prima di leggerlo. A me è successo qualche settimana fa con La coda del lupo di Marino Neri (Canicola edizioni, 15 euro). Penso che la colpa sia un po' della carta (ebbene sì, sono uno di quelli per cui un libro deve anche profumare), ma soprattutto dei disegni di Marino, che sono affascinanti in un modo che non saprei spiegare. Siccome quando succede così divento curioso, un po' di tempo dopo io e Marino ci siamo incontrati: una tazza di tè per me e una tisana invernale per lui, l'ho riempito di domande per un'ora. Il risultato è un'intervista pubblicata sul numero di dicembre/gennaio di Piazza Grande (dove trovate anche la rubrica Piantaggini di Marina Girardi). Qui sotto la versione integrale. Intanto, fino all'11 dicembre, le tavole di Marino sono esposte alla Galleria D406 a Modena (via Cardinalmorone 31/33).
Sulle colline poco fuori Bologna, fra Monzuno, Grizzana e Vergato, vive una donna-lupo. In paese si dice che sia diventata così dopo aver tradito il marito: ora vive nascosta nel bosco e di notte si bacia con i lupi. Per la piccola Elga, orfana affidata alle cure del parroco locale, la donna-lupo è una figura incredibilmente attraente, forse perché anche lei sta vivendo una metamorfosi, lasciandosi alle spalle gli anni dell'infanzia. Ed è proprio il cambiamento il tema chiave di La coda del lupo, il graphic novel di Marino Neri appena uscito per Canicola. Nato a Modena nel 1979, Marino è alla sua seconda prova dopo il libro d'esordio Il re dei fiumi (Kappa Edizioni, 2008, 9,90 euro): due opere gemelle, visto che anche lì il protagonista era un ragazzino, Bruno, anche lui alla fine dell'infanzia. La sua storia però si svolge nelle campagne emiliane, durante l'esondazione del Secchia, dovuta forse alla furia del “re dei fiumi”, il pesce più grande che ci sia.
In entrambi i tuoi libri i protagonisti sono bambini alla fine dell'infanzia. Una fase di passaggio che tu racconti utilizzando elementi fantastici, simili a quelli delle fiabe. Mi spieghi come nascono queste storie?
Il re dei fiumi e La coda del lupo sono entrambi racconti di formazione, in cui l’elemento forte è la proiezione del cambiamento nel fantastico, nella metafora. Così la donna emancipata diventa una donna-lupo: è una metamorfosi come quella che avviene nel corpo di una donna nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Mi piace prenderle alla lettera, le metafore. Come vengno prese alla lettera nelle fiabe e dai bambini. Mi viene molto naturale, mi piace miscelare la realtà con elementi un po’ fiabeschi, senza però dare un connotato preciso. Bruno nel primo libro ed Elga nel secondo hanno una forte tensione verso il mistero rappresentato dal re dei fiumi e dalla donna-lupo.
Sia il re che la donna-lupo però non compaiono mai, se non di sfuggita...
Sono elementi tanto forti quanto assenti. Sono totalmente evocativi. Sono figure che i protagonisti non conoscono ma da cui sono affascinati. Sentono che potrebbero essere una chiave di lettura per la loro crescita. Nel caso della donna-lupo Elga ha qualcosa in cui identificarsi. Nel caso del re del fiume è più un senso di potere. Queste figure quasi “mitologiche” sono una parte in ombra delle cose e scatenano l'immaginazione. Sono elementi di attrazione e di spinta verso la crescita e la comprensione. Sono misteriose perché è misteriosa la comprensione della vita, è misterioso quello che loro potranno diventare.
In entrambi i casi, poi, le vicende si svolgono sullo sfondo di una natura decisamente misteriosa. Come hai scelto le ambientazioni?
Il re dei fiumi è ambientato negli anni ’70, nelle campagne emiliane, mentre la vicenda narrata ne La coda del lupo si svolge sull’Appenino, nel primo ’900. Sono entrambi paesaggi rurali: li trovo interessanti, mi piace disegnarli, e poi è un mondo che nei fumetti non è venuto tanto fuori, è stato un po’ accantonato. Ma soprattutto sono luoghi che conosco bene. Il re dei fiumi è ambientato nei posti dove sono cresciuto: volevo raccontare qualcosa che conoscevo già, non sarei riuscito ad ambientare una storia a Milano, per dire, perché non ho mai vissuto in una città così. I due libri hanno senso tutti e due insieme perché il primo è ambientato nei luoghi da dove viene la famiglia di mia madre, il secondo in quelli della famiglia di mio padre.
Quindi ti sei basato su racconti di famiglia?
Ho usato atmosfere e sensazioni che venivano fuori dai racconti fatti in famiglia. La bambina orfana, la protagonista di La coda del lupo, viene dai racconti di mia nonna: suo padre era orfano, era stato abbandonato perché probabilmente era figlio di una suora o di un prete. Per cui lui per tutta la vita ha disprezzato la Chiesa, sputando per terra quando vedeva passare una suora o un prete. Anche alcuni personaggi qua e là vengono dai racconti dei miei nonni, come l’imbonitore che arriva in paese per vendere i suoi “preparati”.
Raccontando la fine dell'infanzia racconti anche la fine di quel mondo contadino-rurale?
Un po’ è vero, c’è la fine di questi mondi, di questi tipi di rapporti, compresa la religiosità e la superstizione. In realtà però penso che quel mondo sia tuttora presente, ma è molto oscurato. Secondo me c'è un senso quasi di censura verso un passato italiano che non è tanto lontano, ma è visto come degradante. Perché siamo dall'altra parte, dalla parte dello sviluppo, ma allo stesso tempo il ricordo di quel mondo è ancora molto fresco.
Ma c'è stata anche un'esigenza narrativa...
Ho ambientato La coda del lupo all'inizio del '900 perché se avessi ambientato una storia di formazione ai giorni nostri, per ottenere lo stesso effetto avrei dovuto utilizzare una protagonsita, che so, extracomunitaria, o anche con una disabilità, perché avevo bisogno di un personaggio non stabile, di un elemento di contrasto in più. Così però forse sarei stato frainteso, sarei stato troppo legato alla contemporaneità.
Dal primo al secondo libro il tuo modo di disegnare è cambiato molto. Che lavoro hai fatto in questo senso?
Mi piace pensare che il disegno sia abbastanza funzionale alla storia. Ho trovato il “mood” della storia quando ho iniziato a fare queste ambientazioni in controluce, lì ho capito che poteva essere l'equivalente stilistico della narrazione. Ho capito che potevo lavorare molto sul nero anche nelle scene di luce, all'aperto. È stato il momento in cui la storia ha avuto una svolta, ha trovato il tono giusto. Mentre in Il re dei fiumi la pennellata era un po' sfilacciata, un po' bagnata, come la storia stessa doveva essere.
Per disegnare sei dovuto tornare a visitare i luoghi in cui hai ambientato le storie?
No, in realtà no, sono andato a memoria. Ma nell’Appennino de La coda del lupo ci vado praticamente ogni anno, per trovare i miei nonni. I posti di Il re dei fiumi li conosco bene, perché ci ho vissuto fino ai 26 anni.
Visto che parliamo del posto in cui sei cresciuto, mi racconti come hai iniziato a disegnare?
Ho deciso da bambino, alle medie, mi sono detto: “Basta, faccio il fumettista”. Mio padre ha sempre avuto fumetti in casa, all’epoca potevo passare da Hugo Pratt all’Uomo Ragno, ero totalmente privo di confini, com'è giusto. Il fumetto era il mio cinema, potevo permettermi di leggere quando volevo, dove volevo, leggevo un sacco. Poi durante le superiori e il periodo dell'università (ho studiato Storia dell'arte al Dams di Bologna) avevo smesso di disegnare fumetti. Dipingevo. Per un certo periodo della mia vita pensavo di voler fare il pittore, quindi dipingevo. A un certo punto però un mio amico mi ha parlato di un concorso (legato al festival di fumetto di Lucerna, ndr), ho partecipato e ho vinto il secondo premio.
Con quale storia, se posso chiedere?
Erano quattro tavole, erano splash page con un testo sotto e una sola nuvoletta in tutto. Si chiama Elvis ed è la storia tristissima di un signore che, il giorno in cui scopre di avere un tumore, si veste come Elvis, di cui è un grande fan, va a comprare delle birre e si ubriaca. È stato il primo premio nell'ambito del fumetto, e visto che per la pittura non ne ho mai ricevuti... (ride). No, in realtà mi piaceva molto raccontare, anche nei dipinti che facevo ero molto narrativo. In quel periodo partecipavo a un sacco di concorsi, ad esempio Arena, organizzato a Bologna. In quel caso ho proprosto un'altra storia breve che si chiama Il ragazzo bestia, era la storia di un ragazzo in un circo. Diciamo che non erano delle storie, erano delle piccole suggestioni.
Nel 2008 sei stato il primo vincitore del concorso legato a Komikazen, con l'idea del “Re dei fiumi”. Com'è andata quell'esperienza?
Avevo da tempo l'idea di un bambino che trova qualcosa un giardino (nel libro è un teschio) da cui partiva una sorta di inizio della fine del mondo. Il bando di Komikazen chiedeva di parlare di qualcosa di veramente accaduto: nel mio caso era una piccola esondazione, una delle ultime esondazioni del fiume Secchia, vicino Modena. Proponendo il soggetto però avevo scritto che il protagonista era un bambino, per cui mi permettevo di tradurre la realtà dal punto di vista di un bambino. Comunque ho vinto in ex aequo insieme a Leonardo Guardigli (che per Komikazen ha realizzato il libro Mecnavi, pubblicato dal Centro fumetto Andrea Pazienza, ndr): forse erano due concezioni di “fumetto di realtà”... A un certo punto, non so come, era passata l'idea che Il re dei fiumi fosse un racconto autobiografico, perché è narrato in prima persona...
Una tavola di Il re dei fiumi (Kappa Edizioni, 9,90 euro)
Ma non corrispondono le date!
Appunto!
Erano molto diversi i disegni che avevi mandato al concorso?
Erano un po' diversi, erano a due colori e avevo lavorato su tavole molto grandi. Poi è diventato un colore solo. All'inizio usavo sempre la bicromia, ma era un po' una pezza che mettevo quando non sapevo ancora bilanciare il bianco e nero. È più difficile lavorare con meno strumenti. Per La coda del lupo ho guardato molto i classici del fumetto, Alex Toth, Dino Battaglia, Micheluzzi e altri mostri sacri ai quali non mi paragono assolutamente. Tutti disegnatori che lavornao con la sintesi del bianco e nero, la riduzione... dove ogni segno è quello lì e non potrebbe essere altrimenti.
Come ti sei trovato a pubblicare con Canicola?
C'è un ambiente più familiare, un rapporto più alla pari e meno di “produzione”. Loro mi avevano proposto di collaborare alla rivista, io gli ho proposto già la storia di La coda del lupo, ma di quelle tavole fatte inizialmente neanche una è finita nel libro: erano delle prove aperte.
Quindi era da un sacco che avevi in testa questa storia...
Sì, praticamente da dopo aver finito il primo libro. Poi ovviamente le idee sono cambiate. Il tema era lo stesso, l'ambientazione la stessa, c'erano dei finali diversi, era ancora più fantastico, ho dovuto metterci degli elementi che lo ancorassero alla realtà.
Una domanda che non posso non farti: fra i due libri hai disegnato anche la Zero Guida di Torino. Mi spieghi di che si tratta?
C'è una storia di quattro tavole che introduce il personaggio che poi accompagna il lettore durante tutta la guida. È una sorta di piccolo diavolo, che vive sotto la città di Torino, si annoia e decide di salire con tutta la sua corte in superficie. È un inferno molto retrò, è un diavolo che indossa un berretto e non ha le corna. Sono giochi onirici e un po' non sense, sono dei piccoli rebus visivi.
Un'illustrazione per la Zero Guida di Torino
Ultima curiosità: Il re dei fiumi è stato pubblicato anche in Corea: com'è successo?
Penso che abbiano visto l'edizione francese. Ho avuto pochi contatti con loro, gli ho mandato un disegno per la promozione. Non so dirti com'è andato, però mi ha fatto molto piacere, per un libro ambientato nella provincia, con delle battute in dialetto... però ci sta perché ci sono analogie con alcuni autori orientali. Mi piace trovare degli elementi che abbiano una funzione un po' mitologica, che sono fissi in molte culture, sono già pieni, spesse di significati. (© Pietro Scarnera 2011)